Modifiche ai progetti, scorte accumulate e test clinici da effettuare negli Stati Uniti. Così le società biotech e farmaceutiche cinesi cercano di fronteggiare le ripercussioni delle tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina. È quanto emerge da un focus sull’argomento curato da Reuters.
Il settore farmaceutico cinese, partner di colossi globali come Pfizer e AstraZeneca, si basa in gran parte su materiali importati, tra cui reagenti e altri dispositivi per gli studi clinici. L’aumento delle tariffe e il timore di interruzioni nelle forniture stanno spingendo le aziende del Paese del Dragone a sospendere o a posticipare nuovi progetti.
Per evitare rischi legati all’invio dei campioni clinici negli impianti cinesi, alcune pharma stanno valutando la possibilità di affidare i test direttamente a laboratori ubicati negli Stati Uniti, anche se questa soluzione aumenta i costi e crea, di converso, una maggiore necessità di stoccare scorte locali. Nel 2024 gli Stati Uniti hanno esportato in Cina reagenti diagnostici e altri dispostivi per gli studi clinici per circa 1,5 miliardi di dollari.
Subito dopo l’annuncio trumpiano di aprile sugli aumenti tariffari, WuXi Biologics ha ordinato extra- quantitativi di reagenti statunitensi, mentre Innovent Biologics e BeOne Medicines hanno cominciato a valutare con Thermo Fisher Scientific la possibilità di evitare di spedire campioni clinici USA in Cina, preferendo test locali più costosi.
WuXi AppTec ha sostituito i reagenti statunitensi con alternative acquisite in altri Paesi per contenere i costi, mentre circa 17 aziende hanno chiesto JS Biosciences – biotech specializzata nella produzione di mezzi di coltura cellulare e materiali di supporto per la ricerca e la produzione di farmaci biologici – di mantenere scorte di materie prime, per far fronte a possibili difficoltà di approvvigionamento.
Le tensioni commerciali tra Stati Uniti e Cina restano dunque un fattore di grande incertezza per le aziende farmaceutiche cinesi. E al momento la soluzione non sembra vicina.